Gli inglesi lo chiamano afterglow, traducibile come riverbero, bagliore. 

È uno dei momenti magici di certe giornate limpide quando, subito dopo il tramonto, una luce tenue e diffusa, – dalle tinte calde – indugia sul paesaggio trasformandolo in una visione onirica. Come quella della foto scattata – una sera di parecchi anni fa – in cima ad una delle vette del Parco d’Abruzzo, Lazio, Molise. 

Un gruppetto di camosci appenninici Rupicapra pyrenaica ornata brucava e si riposava nell’atmosfera sospesa di una giornata autunnale che volgeva al termine. Sullo sfondo la teoria di montagne avvolte dalla densa foschia novembrina dava senso del luogo e acuiva la sensazione di un’esperienza senza tempo. Un’esperienza in realtà fugace: dopo poco l’oscurità si sarebbe infatti impadronita della scena e avrebbe presto nascosto ogni dettaglio. Intanto l’ultima luce scaldava i colori della prateria montana e quelli del mantello dei camosci più belli del mondo, esaltandone i profili.

Ho goduto di quella pace e mi sono attardato in quella visione il più a lungo possibile, considerandola un dono prezioso. L’oscurità arrivò troppo presto quella sera e a me non restò altro che iniziare la lenta discesa verso valle alla luce della lampada frontale.