Tutto è cominciato prima dell’alba con una nuvoletta, una sottile striscia rosso fuoco sospesa sopra il profilo nitido e altissimo della Cresta del Redentore, una specie di cappello leggero addossato alla cima della montagna. 

Col passare del tempo impalpabili velature hanno iniziato a volteggiare per ore sopra le creste degli alti Monti della Sibilla. Forme eteree e fantasiose si materializzavano dal nulla, erano lunghe onde sinuose che si intrecciavano, sagome di vele stracciate, o inquietanti volti di terribili mostri, come quelli che di notte popolano la mente dei bambini e li spaventano. 

Dal Monte Vettore i venti in quota spostavano le nuvole verso nord-est, seguendo da vicino i profili alti delle montagne e facendo loro cambiare continuamente forma. Lo spettacolo ipnotico della creazione di questi diafani arabeschi incantava. 

Le nuvole sanno condizionare il nostro umore: quelle scure e incombenti dei temporali incutono timore, mentre quelle candide di un cielo terso dispensano buonumore e felicità. Ho sempre pensato che le nuvole siano in corrispondenza coi nostri pensieri, forse ne sono la naturale rappresentazione. 

Quelle che stavo osservando avevano un carattere speciale, mai viste di così spettacolari in tanti anni di osservazione della natura. Quando ho chiesto lumi ad un esperto (grazie Filippo), tutto è apparso più chiaro: si tratta di altocumuli lenticolari, che si formano in condizioni atmosferiche stabili: quel giorno correnti da sud ovest si scontravano con la potente catena dei Sibillini e il risultato di questo scontro erano oscillazioni delle colonne atmosferiche, responsabili della formazioni di quelle nuvole particolari. 

Già, ma la poesia? Dove va a finire la poesia dopo la fredda spiegazione scientifica? Resta immutata, per quanto mi riguarda. Prova ne è l’emozione duratura che ho provato quella mattina mentre ero concentrato sullo spettacolo, eccitato come un bambino il giorno di Natale.