Sono in Abruzzo, tra queste montagne ormai familiari, dove riesco ancora a trovare un ritmo di vita più pacato e un contatto più stretto con la vita selvaggia. Mi riconnetto con le origini, con un mondo più semplice e antico che segue, ormai controcorrente, le leggi eterne e i tempi lenti di una natura sempre più in ritirata e messa all’angolo dall’inarrestabile avanzare della nostra cosiddetta civiltà.
Le notti stellate e i venti freddi di tramontana raggelano l’aria in questo marzo privo di sentori di primavera. La neve copre ancora con ampie lenzuola bianche pendii e valli meno esposti, nonostante l’inverno sia stato mite e avaro di precipitazioni, come ormai succede sempre più spesso.
Sono qui per i lupi, sono loro che cerco, per loro mi alzo alle quattro di mattina, mi metto in moto, mi rannicchio nel mio telo mimetico per resistere alle temperature sotto zero e al vento che le fa diventare ancora meno sopportabili. E aspetto. Per ore, in silenzio, aspetto sbirciando tutt’intorno senza fare movimenti bruschi, per diventare parte dell’ambiente e occultarmi, per quanto possibile, alla vista del predatore. E spero, spero con tutta la forza di cui sono capace che loro arrivino per davvero e il pensiero rafforza la mia voglia di resistere al freddo, all’immobilità, alla noia del tempo che passa senza che niente, o quasi, succeda. Guardo attorno e cerco di interpretare gli scarsi segnali che mi arrivano: i cani che abbaiano, il gracchiare improvviso delle cornacchie, tutti indizi del possibile avvicinarsi dell’ animale selvatico che, più di altri, è in grado di stimolare la fantasia umana. Amato o odiato, senza mezzi termini.
Braccato e ridotto nel passato ad una manciata di individui relegati nei recessi più profondi dell’Appennino, costretto a cibarsi di rifiuti e di qualche pecora rubata – a fronte di seri rischi – per mancanza delle sue prede naturali: cervi, caprioli, cinghiali, spazzati via dalla caccia indiscriminata e dalla alterazione del loro habitat.
Questo animale simbolo ha mostrato doti di intelligenza, resistenza, adattabilità insospettabili e, quando le condizioni lo hanno permesso – lentamente e in totale autonomia – ha riconquistato il suo areale storico montano. È andato addirittura oltre ed ora i lupi in Italia sono in buon numero e distribuiti non solo sulle montagne, ma anche sulle coste e in pianura, in un contesto ambientale che gli è sempre appartenuto, ma che oggi è particolarmente antropizzato e modificato.
Questo il flusso di pensieri che emergono mentre il tempo passa ma, all’improvviso, l’ennesimo sguardo in lontananza mostra che qualcosa si sta muovendo nella mia direzione. Guardo meglio. Incredibile, ma è lui, proprio lui: un lupo solitario che, naso a terra, segue una pista odorosa che sembra portarlo verso di me. Non è certo il mio primo incontro, ma ogni volta la reazione è la stessa: il cuore balza in gola, l’adrenalina scorre a fiumi, è giunto nuovamente il momento tanto atteso. Ora tutta la mia concentrazione è su di lui, inquadro e seguo lento, in trepidazione, i suoi movimenti. Scatto, attendo e ancora scatto, cercando di non perdere il momento migliore.
Incrociare il suo sguardo significa incontrare il Mistero, insondabile e profondo. Seguire la sua figura solitaria o quelle del branco muoversi lontane nei meandri del paesaggio appenninico significa assistere al miracolo di un mondo giovane, che è ancora vitale e vuole resistere, nonostante tutto.
Intanto continuo ad osservarlo mentre si sposta sicuro sulla neve indurita dal gelo notturno, ai confini tra l’ombra della notte che si ritrae e la prima luce del giorno che avanza e invidio la sua innata capacità di vivere il presente, dote che a noi umani, oppressi dal passato e preoccupati del futuro, sembra essere del tutto negata.