Lo zodiac ondeggia vistosamente mentre asseconda il movimento capriccioso delle onde. È giugno, siamo nell’arcipelago delle Svalbard, in pieno Artico e, insieme ai miei compagni di viaggio, stiamo lentamente avvicinandoci alle ripide scogliere di Alkefjellet, che in norvegese significa montagne delle urie. Mai toponimo fu più azzeccato: sulle balze basaltiche a picco sul mare, ancora rivestite di ampi, spessi mantelli di neve, si sono radunate circa 60.000 di questi uccelli marini: urie di Brunnich Uria lomvia, appartenenti alla famiglia degli alcidi e del peso di circa un chilogrammo.
Sono lì per la riproduzione e la neve ha perso il suo colore candido per virare ad un giallo-ocra più o meno intenso a causa delle loro deiezioni. È uno spettacolo naturale straordinario: le urie sono uccelli coloniali e si ammassano sulle rocce alla ricerca di uno spazio idoneo per deporre le uova e allevare i piccoli. Questione di vero e proprio equilibrismo, ma a loro piace così. Sono attratto dalla vista degli uccelli, delle rocce e delle masse di neve sospese, in equilibrio precario. Un quadro d’insieme che trovo affascinante. Il problema è riuscire ad inquadrare correttamente: il vento forte e gelido, le onde, la pesante tuta che limita i movimenti, tutto contribuisce a rendere l’operazione – di per sé semplice da quella posizione – una vera impresa. Le grida che salgono dalla colonia sono caotiche, assordanti, anche se attutite dalle folate di vento, l’odore del guano ve lo lascio immaginare.
Sappiamo che l’Artico si sta riscaldando ad una velocità due volte superiore a quella globale e le urie di Brunnich, – come molte altre specie artiche – sono uccelli perfettamente adattati al freddo, ma particolarmente sensibili al caldo.
Studi effettuati nell’Alto Artico canadese, hanno dimostrato che l’elevato metabolismo di questi uccelli li espone ad un vero e proprio surriscaldamento anche con temperature di soli 20 C. Nell’area oggetto di studio si sono verificate morie proprio per questa causa. Visto il trend cui stiamo assistendo, sorge purtroppo un serio dubbio su quale sarà il futuro di Urie e di altri abitanti dell’Artico, tra cui quello che meglio di tutti rappresenta questo estremo ecosistema ai nostri occhi: l’orso polare.