La fatica si fa sentire. Il fiato, a quasi 3000 metri di altezza, diventa corto mentre salgo, ma la serata è fantastica. Lo si poteva prevedere già nel tardo pomeriggio quando grandi, soffici nuvole galleggiavano nel cielo sostando pigre sopra le potenti cime rocciose e le algide lingue del ghiacciaio lontano.
Il cielo ad ovest è perlopiù limpido, l’aria tersa e ora, verso il tramonto, una splendida luce calda avvolge il paesaggio roccioso della morena. Appena un refolo di vento muove l’aria frizzante della sera, l’atmosfera è perfetta, quanto di meglio potessi sperare.
Mancano solo loro, le pernici – bianche e grigie figlie del freddo -, di certo al riparo in qualche valletta, tra gli anfratti degli ammassi rocciosi, ma chissà dove.
Avanzo piano, guardo a destra e a manca nel paesaggio brullo, le cerco avidamente in silenzio, voglio scovarle ma in nessun modo spaventarle.
Il tempo scorre, preziosi minuti se ne vanno, temo di non incontrarle più e di perdere la luce del tramonto quando, come capita nelle occasioni migliori, all’improvviso le vedo sbucare. Sono quattro, si muovono calme al mio avanzare, becchettando qua e là la scarsa vegetazione. Mi mantengo a distanza, le osservo con attenzione finché una non sale in cima ad una roccia. È il momento tanto atteso: la pernice è avvolta dall’ ultima luce, la più bella. Ma è di spalle. A un certo punto, però, decide di girarsi verso di me e io non esito: inquadro e scatto.
Appena in tempo. Solo qualche istante e la pernice scompare alla vista sull’altro lato della roccia.