Visti da lontano, i quasi tre metri di apertura alare del gipeto scompaiono contro il profilo possente della montagna. La distanza è notevole, ma distinguo bene la sagoma del grande avvoltoio mentre l’uccello avanza ad ali spiegate, da consumato veleggiatore. Gli fanno da contorno pareti strapiombanti e nuvole dense che si stanno sollevando dal fondovalle. Sto fremendo, non potevo desiderare cornice migliore. È una scena primordiale e me la sto godendo tutta, incollato al mirino della macchina fotografica.

Ci sono voluti settanta anni e gli sforzi di molti per vedere volare di nuovo sui cieli delle Alpi questo vero mito alato, dopo che l’ultimo esemplare era stato ucciso – senza troppi pensieri – all’inizio del secolo scorso. Io continuo a seguirlo nel mirino della macchina fotografica, attento a non perderlo. Non so quando potrò ripetere l’esperienza e non voglio perderne un secondo.
Con il gipeto vola la speranza di un futuro migliore.